Leggendo Lezioni di Fantastica di Vanessa Roghi, un ottimo modo per festeggiare il centenario di Rodari.

Sono cresciuta a pane, burro, Giovannino Perdigiorno e Alice Cascherina, addentrandomi nel Libro degli Errori e divorando il dorso della copertina di Favole al Telefono quando stavo mettendo i denti, sfogliando edizioni minimal degli anni Sessanta e altre coloratissime illustrate da Altan, chiedendomi cosa diavolo fossero i maritozzi che compaiono nelle prime pagine de La torta in cielo e temendo il dottor Scarafoni de La freccia azzurra, ma soprattutto sognando senza fine il palazzo di gelato di Bologna. Ma forse dovrei correggere il tempo verbale: sto ancora crescendo con Gianni Rodari.

Me ne sono resa conto leggendo Lezioni di Fantasica. Storia di Gianni Rodari di Vanessa Roghi (Editori Laterza, 2020), che ho subito votato per la Classifica di qualità dell’Indiscreto. Le sue sfaccettature e le ricadute che ha e ha avuto sul mio modo di pensare, di scrivere e di pormi nei confronti del mondo danno ancora oggi i loro frutti – perché, come un vegetale, mettono radici rami e foglie e durante l’anno fioriscono più volte. Di Gianni Rodari dietro le parole, però, conoscevo ben poco: Vanessa Roghi raccoglie, ordina e svela la persona, che è molto più potente del personaggio, che conosciamo e amiamo come Gianni.

Oggi, 23 Ottobre 2020, Gianni Rodari avrebbe compiuto cento anni; lunedì, 19 Ottobre, mio padre ne ha compiuti settanta: questo è un omaggio a entrambi, perché nel mio mondo non ci sarebbe l’uno senza l’altro.

Rodari è stato un intellettuale. E se un intellettuale è una persona in grado di dare un senso a quello che sta sotto gli occhi di tutti, […] allora Gianni Rodari è stato un meraviglioso intellettuale.

Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica

1. Gianni Rodari era comunista

Il che, in effetti, non avrebbe dovuto sorprendermi così tanto: le letture della mia infanzia, veicolate da mio padre che è stata la voce narrante prima mia e poi dei miei fratelli, erano costellate di Jack London, Luis Sepúlveda, fiabe popolari nelle edizioni dell’Unità e, appunto, Rodari. Un pregio, questo, che devo riconoscere ai miei: i principi in cui fermamente credevano ci sono stati veicolati attraverso i racconti degli altri, le loro esperienze, il loro linguaggio. Che è esattamente la bussola che adotta e il sistema in cui crede Gianni Rodari: lui stesso si avvicina al comunismo anche tramite la letteratura e, quando scrive filastrocche e racconti per l’Unità, sa benissimo che «non scrivevo per bambini qualunque, ma per bambini che avevano tra le mani un quotidiano politico».

Partigiano, militante, scrittore per i giornali del partito, inviato in Urss: Rodari ha le mani e la mente nel PCI, ma la parole sono per il mondo, per la crescita personale e collettiva. Di lui, Cesare Zavattini ha detto: «Rodari è stato forse il maggiore in questo senso […] a credere nella necessità di elevare la democrazia a una dimensione fantastica»1, perché la fantasia di Gianni Rodari non è fine a se stessa, non è escapismo, non è rifiuto della realtà. È, piuttosto, un altro modo di immaginare il futuro, di sapere come plasmarlo, di essere coscienti di avere il potere del cambiamento nella propria mente e di saperlo tradurre in parole e in immagini: la fantasia è una faccenda di sinistra.

2. Gianni Rodari era un giornalista

Come Rodari, io amo raccontare: per questo pensavo, a dodici anni, che l’unico mestiere possibile per continuare a farlo ogni giorno sarebbe stato quello della giornalista.
Gianni Rodari, al giornalismo, ci si avvicina giovanissimo: attorno ai sedici anni scrive raccontini per un bisettimanale cattolico locale, ma è con la militanza politica che gli viene chiesto di occuparsi della progettazione e della redazione di settimanali e altre pubblicazioni. Il giornalismo è, allora, il modo di diffondere una voce e un punto di vista militanti: e Gianni Rodari lo farà così bene che se lo contenderanno i maggiori giornali italiani, affidandogli inserti e rubriche, intere redazioni e linee editoriali.

Che cos’è in definitiva un giornalista? È un cittadino che scrive a nome degli altri cittadini, che esprime le loro aspirazioni, che difende i loro diritti.

lettera di Gianni Rodari riportata in De Luca, La gaia scienza, e citata in V.R., Lezioni di Fantastica

Quando arriva a l’Unità a Milano, Gianni è povero, vive in affitto ed «è uno dei primi inviati speciali del giornale, […] sapeva […] essere lontano dalla retorica, ironico, fermo. Era già quel grande giornalista che rimase, un giornalista comunista»2. Questo è un lato che ritroviamo, tutto intero, anche nella produzione di Rodari scrittore: anche nei contesti più giocosi è estremamente serio, anche nei momenti in cui una torta naviga tra le nuvole ha i piedi ben piantati a terra. Ereditata dalla propria carriera da giornalista, in ogni aspetto della propria vita Gianni Rodari ha una deontologia che segue con precisione e dedizione, che lo distingue da chiunque altro.

3. Gianni Rodari amava fare le cose per bene

Sarà che il 2020 è un anno che ci ha capovolti tutti, sarà che penso spesso che il motivo per cui sono finita a Milano e quello per cui ora conosco un po’ meglio il design e tengo alla slow fashion è assolutamente e dolorosamente causale, tutto così lontano da come immaginavo sarebbe andata.

E proprio così, un po’ per caso, Rodari finisce prima a Milano e poi a Roma, così si trova a fare il giornalista, così diventa il più grande scrittore per ragazzi del Novecento, tirato per la giacchetta da ogni lato, ma sempre in grado di adattarsi. Ogni tanto, però, alza un pochino la voce, sempre con fermezza, per farsi sentire: per esempio quando annuncia che non vuole fare il poeta. Vuole scrivere filastrocche, anzi le deve scrivere, perché al pubblico di grandi e piccini che le leggono piacciono, e ne chiedono sempre di più. «Nessuna vocazione, dunque, ma un impegno»: così Vanessa Roghi ci spiega la costanza di Rodari, ma anche la sua passione e il suo orgoglio.

Intanto avevo preso sempre più sul serio il mio lavoro. Non l’avevo scelto, mi era capitato, aveva un po’ buttato per aria i miei programmi: ma giacché mi ci trovavo, valeva la pena di farlo bene, il meglio possibile.

Gianni Rodari, Storia delle Mie Storie

Le filastrocche di Gianni Rodari richiedono un impegno e sono impegnate: questa è l’asserzione e il punto fermo da cui dobbiamo partire per capire davvero, fino in fondo, il potere delle parole che sceglie di scrivere e pronunciare.
Pronunciare, sì, perché la dimensione orale è sempre stata innegabilmente importante nella sua produzione. L’infanzia di Gianni Rodari è comune a quella di gran parte degli Italiani nel suo essere senza libri, semi–analfabeti, figli di bottega, nel suo essere fatta di stalle in cui vive la tradizione orale, di racconti che si svolgevano nella penombra, di voci femminili e maschili adulte che davano il tempo e la morale. Non così mi ritrovavo io, bambina, ad addormentarmi cullata dalla voce di mio padre concentrata sulle parole stampate di un libro rodariano, al sicuro nel mio letto troppo grande, circondata da volumi comprati appositamente per me, a sognare di vivere nel paese con la s davanti. Ma se sono pacifista è anche grazie a Gianni Rodari, che ha fatto bene il suo lavoro.

4. Gianni Rodari immaginava una scuola diversa

Sarà che Rodari è entrato nella mia vita al calar della sera, sul bordo del letto pronto per la notte, ma non sono mai riuscita ad associarlo veramente alla scuola prima di leggere Vanessa Roghi. Eppure, i racconti e le filastrocche di Gianni sono pieni di maestre e maestri, di alunni e alunne: ma io, nella mia scuola, non ho mai incontrato Rodari.
Ma Rodari stesso è stato maestro, anche se per pochi anni, e «lo ha fatto controvoglia, per povertà e necessità di lavorare» ci rivela Vanessa Roghi. Le favole diventano allora, in quell’esperienza, un’escamotage per tenere buoni i bambini troppo rumorosi e indisciplinati, ma anche un modo per rielaborare le letture che Gianni faceva nel tempo libero e che lo interessavano decisamente di più (futuristi e surrealisti francesi, per esempio), ma in un linguaggio diverso, accessibile, luminoso.

La riforma della scuola è d’altronde un tema che tocca da vicino il partito comunista: gli anni del boom economico portano a scuola frotte di bambini che vanno educati e, per la prima volta, l’abbattimento dell’analfabetismo sembra possibile. Bambini educati equivalgono a elettori consapevoli e lavoratori capaci. Ma a Rodari interessa anche qualcos’altro, di questi bambini: la loro capacità immaginativa e linguistica, la loro curiosità e la loro propensione a sovvertire il sistema. Non c’è «un’intenzione pedagogica precisa nel suo lavoro, l’unica cosa che conta è stare dalla parte dei bambini, prendendo le loro difese»3.

5. Gianni Rodari era uno di noi

Questo Vanessa Roghi ce lo spiega davvero bene: quando Rodari arriva a Roma negli anni Cinquanta, tra gli scrittori per bambini figurano anche la Morante, Calvino (che come lui è anche giornalista), Arpino e Gatto. Lavorano assieme, condividono gli stessi circoli, eppure Gianni Rodari «non fa parte del loro mondo, forse solo perché di carattere schivo, forse perché il fatto di essere autodidatta e povero, per giunta, lo fa sentire un estraneo»4. Si tiene sempre un po’ di lato, non prendendosi mai davvero sul serio.

Per esempio: nel 1974 Tullio de Mauro comincia a definire Gianni Rodari un classico. Lui ne è orgoglioso e imbarazzato, gli sembra quasi impossibile ma ne è talmente flattered che si crea una targhetta con scritto “classico” e se la appunta sulla giacca come spilla. Quando scrive a Einaudi, che l’ha interpellato per fare una raccolta, inizia la lettera con un «Presentasion al sior editore» e continua con un «quanto al titolo se il libro esce prima di Natale va bene Il pianeta degli alberi di Natale, altrimenti la scelta potrebbe cadere (ma piano per non farsi male)…». È già un giornalista importante a Roma ma quando finisce di lavorare alle cinque del mattino deve aspettare le sei per rientrare a casa e riposare, perché è l’orario in cui la figlia Paola si sveglia per la prima poppata: e allora passa il tempo fumando sigarette al Gianicolo, paziente, perché guai a disturbare la routine dei neonati. E ancora: sì belle le storie di un tempo, ma «non sanno andare nemmeno in monopattino» dice Rodari, mettiamo invece nelle favole nuove televisori, frigoriferi e scooter, indicazione che deve essere stata assai poco ascoltata, dato che Azzurra D’agostino l’altro giorno faceva notare che il problema continua e sembra anzi aggravarsi.

E quando si avvicina la data di un’operazione importante, alla fine del 1979, si rende conto che ha ancora un sacco di idee, che spuntano come fiori mentre è in auto, in treno, è seduto o in piedi: «mi pare proprio che non convenga affatto morire». No, la morte non conviene, infatti non ce n’è, nei racconti di Gianni Rodari: ci sono tanti, infiniti modi per vivere ancora.


1 citato in Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Editori Laterza, 2020) a p. 128
2 da Fidia Gambetti, La grande illusione: 1945-1953 (Mursia, 1976), citato in Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Editori Laterza, 2020) a pp. 44-45
3 Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Editori Laterza, 2020), p. 141
4 Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Editori Laterza, 2020), p. 75

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